Non ci fu solo agricoltura nel passato del nostro paese.
Le vie d'acqua hanno segnato la vita di molti dei nostri concittadini che hanno lasciato l'aratro per dedicarsi all'estrazione e al trasporto della sabbia, alla ricerca di sassi di quarzo o all'estrazione dell'oro del Ticino. Notevole fu anche l'attività di allevamento del baco da seta e la lavorazione nelle filande
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Attività e vecchi mestieri
Le cave di sabbia
Con un pezzo del nostro paese è stata costruita  la citta di Milano
Foto d'epoca di una cava di sabbia
 di Castelletto sono partiti milioni di metri cubi di sabbia, con destinazione la darsena di Milano, dall'immediato dopoguerra fino agli anni 60 la sabbia veniva trasportata su grandi chiatte (prima di legno poi in ferro), governate da abili barcaioli. Uno di questi è Giovanni e ci racconta di quei tempi

La Filanda  e i Cavaleer
Un'altra fonte di reddito era rappresentata dall'allevamento del baco da seta. "i CAVALEER" Molti tra i nostri concittadini più anziani ricordano certamente il tempo dedicato all'allevamento di questi lepidotteri, che costituivano una fonte di integrazione del reddito familiare.
La Filanda è stata uno dei primi insediamenti industriali dell'epoca, ha dato lavoro ad un paio di generazioni di Castellettesi, prevalentemente donne.


Foto d'epoca rappresentante il personale della filanda Simontacchi


L'agricoltura
Con l'apertura delle cave e della filanda l'attività agricola ha cessato di essere per le famiglie Castellettesi fonte primaria di reddito Tuttavia fino agli anni 60 ha continuato a costituire fonte integrativa di sostentamento.
Buona parte delle famiglie avevano una stalla con alcune mucche spesso allevavano il maiale che veniva macellato con la partecipazione di tutta la famiglia, tutti avevano animali da cortile che vivevano e razzolavano per i cortili, ricordo il richiamo delle donne e gli animali che senza sbagliare, ubbidendo al richiamo della propria allevatrice accorrevano  a prendere "UL PASTUN" dose quotidiana di sano impasto di farina crusca grano e acqua.
Tutte le famiglie possedevano un pezzetto di terreno che coltivavano con attenzione maniacale, vi coltivavano oltre che a verdure e patate tutto il necessario (foraggio e grano ) che venivano in parte venduti ed in parte conservati per l'alimentazione degli animali allevati.

Per i lavori dei campi e per il trasporto si utilizzavano il bue, l'asino o il cavallo. Quasi tutte le famiglie possedevano un animale o per meglio dire l'animale veniva considerato facente parte della famiglia.   



La centrale idroelettrica
Negli anni 1889-99, sfruttando il salto di metri 7,30 dell'acqua proveniente dal colatore Arno, il sig. Carlo Cornelli  riuscì a realizzare il progetto di offrire energia elettrica ai Cuggionesi.
Con questo fatto, straordinario per quei tempi, il Comune di Cuggiono veniva a trovarsi all'avanguardia, disponendo energia elettrica anche per l'illuminazione pubblica delle vie.
Il sig. Carlo Cornelli morì nel 1928 e fu sepolto nella cappella da lui fatta costruire nel cimitero di Cuggiono,
Nel 1929 la Società Esticino assorbì la Società Elettrica Cuggionese. La centralina non fu chiusa, ma anzi potenziata e continuò a produrre energia fino al 1963, quando, ne fu decisa la chiusura. Fu una scelta avveduta?
Così quella che fu l'orgoglio del Cornelli, la sua centrale sul Ticino, alle Baragge, oggi è una catapecchia diroccata, dalla quale i più giovani non sanno forse più a cosa sia servita in passato.

La pesca dei Sassi
Un tempo camminando sulle rive del fiume si potevano incontravano cumuli di sassi bianchi, erano ciotoli di quarzo bianco lavorati dalle correnti del Ticino
Questi ciotoli venivano letteralmente pescati dal fondo del Ticino, caricati sui Battelli che sono tipiche imbarcazioni in lamiera dal fondo piatto e portati a riva, dove venivano raggruppati in grossi mucchi.
I sassi venivano poi venduti a commercianti che li facevano pervenire alle industrie e qui divenivano finissima polvere di quarzo utilizzata in diverse produzioni industriali

La ricerca dell'ORO
I greti del Ticino  erano fino a pochi decenni fa territorio di caccia dei cercatori d'oro. Oggi solo pochi nostalgici continuano a percorrere i greti con l'asse e gli altri attrezzi della cerca dell'oro.
Lo sfruttamento delle sabbie aurifere nei fiumi della Valle Padana,  risale certamente ad epoche precedenti la conquista romana. Per quanto riguarda il Ticino bisogna arrivare fino al 1184 per trovare documentazione scritta, ossia un editto imperiale di Federico Barbarossa che concede ai fratelli De'Biffignardi il diritto di cavare oro dai greti del fiume in territorio di Vigevano e di Abbiategrasso.
Le concessioni per la cerca passano di mano in mano tra feudatari ed ecclesiastici fino al secolo scorso, quando i greti di tutti i fiumi italiani diventano proprietà del Demanio. Da quel momento in poi è il Genio Civile ad assegnare la licenza di "pesca dell'oro" ai richiedenti, su pagamento di una piccola somma annuale.

L'oro del Ticino giace sedimentato in depositi alluvionali, profondamente terrazzati, che affiorano lungo le sue rive una decina di chilometri a valle della sua origine dal Lago Maggiore. Esso venne depositato qui durante la lenta retrazione dei ghiacciai dell'era quaternaria, che modellò le cerchie moreniche dei laghi prealpini. Aprendosi un varco in questi depositi, il fiume li erode e li trascina a valle dove essi sedimentano durante le piene. Tale deposizione avviene preferenzialmente in certi punti dei greti, le cosiddette "penisole di magra", dove la corrente perde velocità per l'attrito sui bassi fondali. Passata la piena il greto emerge e su di esso un occhio esperto può distinguere depositi di "sabbie scure", ricche di metalli (non solo oro).
Trovato il punto, i cercatori estraggono la sabbia setacciandola per separarla dalla ghiaia e la trasportano sul bordo dell'acqua, dove si costruisce una presa di corrente con due file di ciottoli disposte ad imbuto. Sotto di questa si posa l'asse, facendoci scorrere un flusso d'acqua continuo e privo di turbolenze dello spessore di qualche centimetro. Gettando sull'asse palate di sabbia, le pagliuzze metalliche si depositano nelle scanalature della sua superficie, ortogonali rispetto alla corrente che trascina via gli elementi leggeri.
Al termine della giornata il materiale raccoltosi nelle scanalature viene versato nella "trula", attrezzo tipico dei cercatori oleggesi che ha la forma di un badile quadrato con sponde. Per mezzo di ripetuti movimenti di rotazione si ottiene la separazione delle pagliuzze d'oro da quelle di metalli di densità differente. L'ultima delicata fase di ripulitura viene eseguita dal cercatore più' anziano ed esperto, versando sul materiale un getto d'acqua da un beccuccio ed imprimendo alla trula le ultime delicate rotazioni. Infine, a materiale asciutto, una calamita serve ad eliminare le ultime impurità ferrose. Il metodo tradizionale ottiene oro di straordinaria purezza, assai ricercato dagli orefici.
 Una giornata di lavoro era dalle 4 di mattina alle 9 di sera, ma se era una giornata buona se ne trovava 10 o 15 grammi a testa.